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giovedì 31 maggio 2012

NUOVO NUMERO DI BIRDI KE SU PORRU - RIVISTA ANTIAUTORITARIA




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EuroGendFor. L’esercito privato della UE è in procinto di partire per la Grecia.

Non tutti conoscono questa unità segreto che risponde al nome di «EuroGendFor». Il quartier generale di questa speciale task force di 3000 uomini si trova a Vicenza, Italia. L’ex ministro della Difesa francese Alliot-Marie ha iniziato la formazione di questa truppa, dopo le sempre più comuni forme di battaglie di strada e saccheggi provocati da giovani in Francia. L’«EuroGendFor» è allo stesso tempo, polizia, polizia giudiziaria, esercito e servizi segreti. Le competenze di questa unità sono praticamente illimitate. Essa deve, in stretta collaborazione con i militari europei, garantire “la sicurezza nei territori di crisi europei”. Il suo compito è principalmente quello di sopprimere le rivolte. Sempre di più Stati membri dell’Unione Europea aderiscono al «EuroGendFor».
I governi europei sanno esattamente cosa li attende. Per evitare di dover usare i loro propri eserciti contro i cittadini del paese, le truppe paramilitari della “Forza di Gendarmeria Europea” è stata fondata in segreto. In teoria, si può ricorrere alla FEG ovunque vi sia una crisi. E’ ben stabilito nel Trattato di Velsen che regola gli interventi dell’EuroGendFor. Il suo motto motto è il seguente: “Lex paciferat” - che può essere tradotto come: “La legge porterà la pace”. Si sottolinea “il principio della stretta relazione tra l’imposizione dei principi giuridici e la restaurazione di un ambiente sicuro e protetto”. Un “consiglio di guerra” sotto forma di un comitato interministeriale composto dai ministri della Difesa e la Sicurezza dei paesi membri dell’Unione europea partecipanti, decide la strategia di intervento. La truppa può essere attivata su richiesta o dopo decisione dell’UE
All’articolo 4 del Trattato Costitutivo sui compiti e gli impegni si legge: “È possibile ricorrere alla FEG per proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine.” I soldati di questa unita’ paramilitare dell’Unione europea devono rispettare la legge vigente dello Stato in cui operano e dove vengono distribuiti, ma tutti gli edifici e tutte i terreni che vengono presi dalle truppe divengono estraterritoriali e non sono più accessibili dalle stesse autorità dello Stato in cui operano. Il mostro dell’Unione europea abroga inoltre il diritto nazionale anche in caso di antisommossa. 
L’«EuroGendFor» è una truppa di polizia paramilitare e servizi segreti che possono rapidamente operare. Unisce tutti i poteri e mezzi militari, di polizia e servizi segreti che possono essere utilizzati come consultani dalle forze di polizia nazionali e dall’esercito, dopo essere stato commissionato da una unità di crisi interministeriale in ogni sede per la lotta contro le rivolte, ecc. Il ministero federale della Difesa ha elogiato l’EuroGendFor sui propri siti web, scrivendo: “Polizia e esercito. Una gendarmeria europea promette la soluzione”.
L’EuroGendFor è ancora quasi completamente sconosciuto e nell’ombra. Ma non rimarrà a lungo tale. Più le persone vengono spinte alla povertà, più queste truppe ricche di poteri illimitati dovranno “regolare” la situazione. I capi di stato europei si renderanno conto con gratitudine che non saranno obbligati ad usare le proprie forze di polizia e dell’esercito contro i propri cittadini.

Il trattato di Velsen
18 ottobre 2007
TRATTATO Tra il Regno di Spagna, la Repubblica Francese, la Repubblica Italiana, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica Portoghese, per l’istituzione della Forza di Gendarmeria Europea EUROGENDFOR
Leggere il trattato qui:
http://www.scribd.com/doc/78323752/Trattato-di-Velsen-2007

In Kosovo c’è sempre più NATO

di Antonio Mazzeo
 Dopo tredici anni di amministrazione militare del Kosovo e la spesa di ingenti risorse finanziarie, la NATO riconosce di non essere più in grado, con le forze attuali, di evitare la degenerazione del conflitto tra la maggioranza albanese e la minoranza serba. Così, alla vigilia delle prossime elezioni politiche in Serbia, il comando generale dell’Alleanza atlantica annuncia che dal primo maggio verrà rafforzato il dispositivo di uomini e mezzi che presidiano strade e villaggi del Kosovo (KFOR – Kosovo FORce). Secondo Bruxelles, saranno quasi 700 gli uomini dei corpi di pronto intervento di Germania e Austria che raggiungeranno la mini-repubblica balcanica dichiaratasi indipendente dalla Serbia nel 2008.
“Nel valutare la situazione odierna, la NATO e l’Unione Europea si sono rese conto che le forze KFOR sul campo potrebbero non essere sufficienti per rispondere in modo appropriato a eventuali incidenti e scontri in Kosovo, legati alle elezioni in Serbia”, ha ammesso il portavoce del Comando centrale militare tedesco, Hauke Bunks.
Il dispositivo KFOR prevede dal 1° marzo 2011 due Multinational Battle Groups, di cui uno a conduzione italiana. Attualmente, la missione vede schierati 31 paesi con 5.500 uomini. La Germania è il paese impegnato con il maggior numero di militari, 1.300, più altri 550 che giungeranno nei Balcani tra meno di una settimana. Seguono poi l’Italia con meno di 1.000 uomini e gli Stati Uniti con 800. Alla forza d’intervento NATO si aggiungono poi i 3.200 uomini della missione EULEX dell’Unione europea (European Union Rule of Law Mission in Kosovo), con il compito di “monitorare e guidare le nascenti istituzioni del Kosovo nei campi della Polizia, della Giustizia e della Dogana”. La missione europea ha preso il via il 4 febbraio 2008 (tredici giorni prima, cioè, della dichiarazione unilaterale d’indipendenza) ed opera, sostanzialmente, sotto il comando e la direzione della NATO. Inizialmente a capo di EULEX venne chiamato il generale francese Yves de Kermabon, dal 2004 al 2005 Comandante dell’operazione KFOR. L’odierno responsabile EULEX è il connazionale gen. Xavier Bout de Marnhac, capo KFOR nel biennio 2007-2008.
Nel caso di un inasprimento del conflitto tra le comunità albanesi e serbe, l’Alleanza Atlantica potrebbe chiamare all’Italia un maggiore impegno in Kosovo per i prossimi 5-6 mesi. Le forze armate italiane sono di base a Pec-Peja, nella parte occidentale della repubblica. Personale dell’Aeronautica militare della cosiddetta Task Force “Air” opera invece nell’aeroporto AMIKo di Djakovica in supporto e assistenza ai velivoli dei partner NATO. Nello scalo di Djakovica è presente anche il Gruppo elicotteri dell’Aviazione dell’Esercito denominato Task Force “Ercole”.
Gli altri centri operativi delle forze KFOR sorgono a Lipljan, Novo Selo, Prizren e Urosevac. Sotto il comando e la direzione dell’US Army Corps of Engineers, sono stati completati di recente i lavori di costruzione della più grande e moderna installazione militare NATO in tutta l’area balcanica: si tratta di “Camp Bondsteel”, nella regione meridionale del Kosovo, quasi alla frontiera con la Macedonia. La struttura si estende in un’area di 955 acri (poco meno 4.900.000 metri quadri) ed è in grado di ospitare sino a 5.000 uomini tra militari, civili e contractors. Nuova sede del comando generale di KFOR, “Camp Bondsteel” è una vera e propria cittadella autosufficiente: ospita numerosi magazzini e depositi di armi e munizioni, caserme e aree residenziali per i familiari dei militari, scuole, centri sportivi e commerciali e un grande ed attrezzato ospedale militare.
La nuova base kosovara avrà il compito di proiettare le forze terrestri e aeree USA e NATO in un’area compresa tra l’Adriatico e il Caucaso. Come evidenziato da alcuni analisti, la sua localizzazione consente di porre sotto controllo due corridoi terrestri ed energetici di importanza strategica per l’Occidente: quello progettato dalle imprese tedesche (e lautamente finanziato dall’Agenzia europea per la ricostruzione) che congiunge, via Belgrado, il porto rumeno di Costanza ad Amburgo, e quello “statunitense” (con fondi USAID) sulla rotta Bulgaria-Macedonia-Albania.
Le azioni di guerra alleate in Kosovo si svilupparono nel corso della primavera 1999. Secondo il Comando supremo dell’Alleanza, in 78 giorni furono lanciate più di 38.000 sortite aeree; 900 i velivoli NATO impegnati, 600 dei quali di pertinenza delle forze armate USA. Buona parte degli strikes partirono da basi aeree italiane (Aviano, Gioia del Colle e Sigonella in primis) e da unità navali dislocate nell’Adriatico. A dirigere le operazioni, il Combined Allied Operations Center installato ad hoc all’interno dell’aeroporto “Dal Molin” di Vicenza, oggi al centro dei lavori di trasformazione nella base-comando della 173^ brigata aviotrasportata dell’esercito USA e delle forze terrestri di USAFRICOM destinate al continente africano.
Alla guerra parteciparono per la prima volta i cacciabombardieri stealth B-2, fatti decollare dalla base aerea di Whiteman (Missouri) e riforniti in volo da aerei cisterna USA e NATO provenienti da basi italiane. Battesimo di fuoco anche per i giganteschi aerei cargo C-17 Globemasters , che trasportarono in Albania e Macedonia gli oltre 5.000 militari e gli elicotteri d’assalto poi utilizzati per l’invasione e l’occupazione del Kosovo. Ad oggi è ancora ignoto il numero dei civili che furono uccisi durante le operazioni aeree alleate in Serbia e Kosovo. Secondo l’organizzazione non governativa statunitense Human Rights Watch le vittime dei caccia NATO sarebbero state tra 489 e 528. Anonimi “effetti collaterali” di un conflitto-pantano insensato, la cui risoluzione manu militari appare sempre più lontana.